Olimpia Milano, è lo Scudetto di Pianigiani. E di Goudelock

Olimpia Milano, è lo Scudetto di Pianigiani. E di Goudelock

Meritato. Non esiste aggettivo migliore per definire lo Scudetto vinto ieri sera in gara 6 dall’Olimpia Milano: un successo netto, mai in discussione sul campo di un’Aquila Trento uscita a testa altissima ma arrivata senza forze alla partita più importante della stagione. Milano torna sul tetto d’Italia, un anno dopo essere caduta rovinosamente proprio con Trento, abbandonando le velleità di ripetere il percorso compiuto l’anno precedente. Difficile parlare di vendetta da parte dell’Olimpia, possibile, quasi doveroso, parlare di rivincita: dodici mesi dopo l’avversaria capace di eliminare Milano dai playoff è capitolata sotto i colpi di Goudelock e compagni.

Vincere, nello sport, non è mai semplice. Farlo con tutti i favori del pronostico lo è ancora di più. Lo sa bene Simone Pianigiani, chiamato la scorsa estate ad aprire un nuovo ciclo a Milano dopo la fine del percorso affidato a Jasmin Repesa. L’allenatore toscano – arrivato con lo scetticismo dei tifosi – ha saputo resistere in tutti i momenti di difficoltà della stagione, proseguendo con le proprie idee e portando avanti il suo credo. Le sconfitte europee, alcune arrivate con scarti pesanti, sembravano potere minare le (poche) certezze che aveva un gruppo nuovo nei primi mesi della stagione: la sconfitta con Cantù in Coppa Italia è stato senza dubbio il punto più basso dell’annata milanese. Da quel momento la squadra ha voltato pagina, consolidando le proprie certezze e scegliendo di affidarsi ai giocatori più talentuosi in attacco per vincere le partite. Si può affermare che il gioco espresso in dieci mesi non sia stato sempre brillante, a tratti poco gradevole anche per gli occhi ma alla fine è stato efficace. Merito anche di gerarchie che Pianigiani ha trovato in corso d’opera, “aiutato” dall’infortunio occorso a Theodore che gli ha consentito di togliere il play americano dalle rotazioni in favore del più continuo Curtis Jerrells. Theodore, arrivato in estate come play titolare, non ha saputo rendere al meglio ad un livello finora mai sperimentato nel corso della carriera: dopo averlo atteso a lungo, Pianigiani ha deciso di metterlo ai margini nelle partite che più contavano. Allo stesso modo anche Amath M’Baye è quasi scomparso nel corso dei playoff, perché a lui sono stati preferiti Kuzminskas e Pascolo: scelta anche in questo caso vincente, che ha permesso a Milano di cambiare assetto in corso d’opera e di modellarsi a seconda degli avversari, con quintetti molto piccoli o molto grandi che hanno potuto sfruttare i vantaggi proposti dal gioco.

La profondità del roster ha fatto la differenza rispetto alle avversarie, consentendo a Milano di arrivare in piena forma all’appuntamento clou della post season: allo stesso tempo, però, il merito di Pianigiani è stato quello di scegliere – fin dalla serie dei quarti di finale con Cantù – un assetto ben delineato, con i giocatori di cui maggiormente si fidava per affrontare le dure sfide dei playoff. Poche battute d’arresto patite nelle gare da dentro o fuori, a testimonianza di una grande condizione psicofisica della squadra che ha saputo reagire – nella serie finale – dopo le due sconfitte patite a Trento che avrebbero potuto cambiare l’inerzia della serie e forse la storia di questo Scudetto.

Protagonista assoluto di questa serie finale, Andrew Goudelock è stato anche l’uomo copertina delle ultime due partite. Non solo canestri importanti nei momenti decisivi delle gare, ma anche un salto di qualità a livello difensivo e la stoppata – a una manciata di secondi dalla fine di gara 5 – su Sutton che rimarrà nella memoria come il momento chiave dell’intera serie finale (come lo era stato la tripla di Bramos in gara 5 nella finale dello scorso anno tra Venezia e Trento). Le lacrime del Mini Mamba a fine gara descrivono il suo attaccamento alla maglia e la sua voglia di vincere, e al tempo stesso la consapevolezza di avere (quasi certamente) concluso la sua avventura a Milano. La rivoluzione nel reparto esterni, che porteraà James, Nedovic e Della Valle alla corte di Pianigiani, toglie spazi a Goudelock, che ha saputo reagire con grande orgoglio alle voci uscite nel corso della stagione e che avrebbero potuto destabilizzarlo.

Chi scrive aveva espresso già la scorsa estate un parere molto positivo sull’acquisto di Goudelock, ritenuto un giocatore ideale per il sistema di gioco voluto da Pianigiani e basato sul grande talento degli esterni e su lunghi ‘rim protector’. Questo era stato il leit motiv dei successi – sul campo – della Montepaschi Siena, capace di incantare l’Italia con un gioco eccellente basato più su iniziative partite dalle guardie che su un gioco corale di alto livello. Allo stesso modo è avvenuto a Milano, con la squadra costruita su misura del suo allenatore: sebbene con interpreti di livello probabilmente inferiore rispetto a quelli di Siena, il risultato sul suolo italico è stato lo stesso: la vittoria.

Ora per Pianigiani comincia il difficile: ripetersi e continuare la crescita del progetto. Obiettivi ambiziosi ma raggiungibili, anche grazie alla grande rapidità avuta dalla società nel muoversi sul mercato assicurando al coach giocatori di livello europeo per provare a competere con le big d’Europa per un posto nei playoff a partire dalla prossima stagione. Il leit motiv sarà sempre lo stesso: tanto talento negli esterni, con maggiore concretezza rispetto ad alcuni interpreti di questa stagione, e lunghi chiamati a offrire un contributo importante sotto i tabelloni e a racimolare quanto rimane del gioco degli esterni. Così è stato in questa stagione con Gudaitis e Tarczewski, che non avendo un gioco spalle a canestro così valido (come ammesso da Pianigiani) sono spesso stati serviti vicino al ferro o si sono procurati i punti andando con efficacia a rimbalzo d’attacco.

Lo Scudetto rappresenta quindi la vittoria di Pianigiani, in primis, e dei suoi giocatori. Ora viene il bello, portare avanti il progetto triennale: con questi presupposti, la squadra potrà togliersi delle soddisfazioni. Ma questo ce lo dirà solo il tempo. E il campo, unico giudice del lavoro di una squadra.

L’Olimpia, quelle parole di Pianigiani e un futuro indecifrabile

L’Olimpia, quelle parole di Pianigiani e un futuro indecifrabile

“La gara di stasera (ieri, ndr) è lo specchio della nostra stagione europea”.

Parole e musica di Simone Pianigiani, costretto a commentare l’ennesimo KO di un’annata partita con buone prospettive, per quanto fatto vedere nelle prime gare di stagione, solitamente di assestamento un po’ per tutte le squadre che prendono parte all’EuroLega, e poi velocemente precipitata verso i bassifondi quando nelle difficoltà sono emerse tutte le lacune di una squadra incapace di trovare soluzioni agli aggiustamenti proposti dagli allenatori avversari. Colpa dei giocatori? Solo in parte. Colpa anche di uno staff tecnico che ha avuto grosse difficoltà a proporre un gioco che non fosse solamente limitato all’utilizzo del pick’n’roll, di cui Milano usa e spesso abusa, senza riuscire a creare i vantaggi ottenuti da altre squadre: e se il principale gioco offensivo della squadra non paga i dividendi sperati, non basta – e non è possibile – ridursi alle soluzioni dei singoli per risolvere le gare più complicate sette mesi dopo l’inizio della stagione.

Il calando della squadra di Pianigiani è emerso in maniera lampante in Europa fin dalle prime partite, ha toccato il punto forse più basso in occasione della sconfitta di Coppa Italia contro Cantù, ed è proseguito anche dopo. A parte alcuni sprazzi di gioco discreto, e di ottima preparazione delle gare (come accaduto nella trasferta di Mosca contro il Khimki) Milano sembra essere un libro aperto per gli avversari, che sanno quali sono i punti di forza della squadra di Pianigiani e, limitandoli, tolgono le certezze acquisite nel corso di questi mesi a Gudaitis e compagni. E proprio il centro lituano, sicuramente la nota più lieta della stagione, spesso si ritrova a fare la guerra coi mulini a vento, in un sistema di gioco che valorizza solo in parte il suo talento e il suo fisico. E’ un dato di fatto che sia soprattutto grazie alla sua capacità di andare a rimbalzo d’attacco – ne cattura 2.3 di media a partita, settimo in questa speciale graduatoria al pari di Kaleb Tarczewski – che si conquista delle opportunità di andare al tiro. I suoi 10 punti e 6 rimbalzi di media nei venti minuti di utilizzo medio lo rendono uno dei centri, e dei giocatori più efficaci in senso assoluto, della competizione. Come mai allora non esiste un gioco vero e proprio che lo valorizzi dopo sette mesi di stagione? Gudaitis dovrebbe essere la pietra angolare del gioco milanese, un attaccante pericoloso che possa fare collassare la difesa su di lui lasciando spazio sul perimetro agli eccellenti tiratori – Goudelock e Bertans su tutti – della squadra.

E invece la gara contro Valencia, ininfluente per la classifica ma non per questo da prendere sottogamba, ha mostrato nuovamente le lacune a livello europeo, della Milano di Pianigiani. Difetti emersi già nel corso delle partite di campionato, spesso mascherate dal talento dei singoli, che sono state ingigantite dall’enorme valore di alcuni avversari che l’Olimpia ha affrontato nel proprio cammino. E se è vero che ogni squadra ha un momento di difficoltà nel corso della stagione, altrettanto vero è che tutte, o quasi, hanno mostrato progressi nel corso delle varie gare o dei mesi. Milano decisamente meno, tanto che occupa il penultimo posto in classifica, davanti solo ad un Efes già in vacanza europea da alcuni mesi oramai. E proprio la competitività è quanto è mancata a Milano in questa stagione: una volta assodato che il treno playoff era diventato irraggiungibile, la squadra ha offerto prestazioni sconcertanti per agonismo e intensità (come quella a Istanbul contro il Fenerbahce) che hanno minato la fiducia che lentamente avrebbe potuto diffondersi tra i giocatori. Il body language in campo e in panchina ha spesso lasciato intuire l’esito delle gare di questa Olimpia diversi minuti prima della sirena finale: un segnale negativo dell’incapacità di invertire la rotta di un destino che è apparso segnato fin dai primi mesi della stagione regolare di EuroLega.

Micov e Jerrells, nella serata di ieri, hanno provato senza successo a ergersi a salvatori della patria, con momenti di basket di livello eccelso ma totalmente sconnessi a quello che è essere una squadra. Perché è vero che sono i grandi giocatori a fare le grandi squadre, ma affidarsi esclusivamente all’estemporaneità per colmare le lacune evidenti di un gioco che non esiste non basta per portare a casa delle partite a livello europeo. Se a questo si aggiunge la scarsa mira di Goudelock – per Pianigiani limitato da problemi fisici nelle ultime due partite – autore di due zero contro Zalgiris e Valencia, tutto diventa dannatamente complicato.

Ed è in questo momento, ora, che Milano deve decidere cosa vuole fare da qui a fine stagione, in Italia, e da dove ripartire in vista della prossima stagione europea. Il campo, giudice unico e supremo, ha espresso chiaramente il suo verdetto, respingendo senza appelli Milano nel percorso europeo: è anche vero che il progetto di Pianigiani è triennale, ma serve un cambio di rotta deciso a livello di gioco e risultati per togliersi, a partire dalla prossima stagione, dai bassifondi europei e acquisire quelle consapevolezze, quel know how che hanno le grandi squadre europee, che costantemente veleggiano tra le prime otto d’Europa. E non è solo una questione di budget o talento, perché lo Zalgiris quest’anno ha dimostrato che con organizzazione, idee e talento in alcuni giocatori, si possono sovvertire i pronostici, si può rendere possibile il quasi impossibile. I lituani devono essere da esempio per l’Olimpia, un modello innovativo che la squadra di Pianigiani dovrebbe emulare per provare a fare di più in campo europeo.

Ora all’Olimpia non resta che concentrarsi sul finale di stagione e sui playoff che vedranno impegnati Cinciarini e compagni al termine della stagione regolare, contro avversari molto duri: già le prossime due gare potrebbero dire molto del futuro, ad oggi indecifrabile, della stagione milanese, perché Avellino e Reggio sono avversari tosti, e soprattutto con un’identità e gerarchie chiare e delineate. Quelle che Milano ancora non ha, e non è ancora riuscita a trovare.

 

Milano, il punto di non ritorno di una stagione molto insufficiente

Milano, il punto di non ritorno di una stagione molto insufficiente

Fallimento (quasi) totale.

Non ci sono altre espressioni per descrivere i risultati conseguiti fino a questo momento dall’Olimpia Milano. La squadra di Pianigiani, che in Europa lotta per evitare l’ultimo posto, fallisce malamente l’obiettivo Coppa Italia, naufragando ben presto contro una Cantù capace di andare oltre i propri limiti e imporsi al termine di un confronto che non ha avuto storia fin dalla palla a due.

Troppa la differenza di voglia e di efficacia tra le due squadre: se Sodini ha dovuto tirare fuori tutto quello che la sua squadra (e in particolare la sua panchina ridotta) è riuscita a dargli, Pianigiani non ha saputo invertire l’inerzia di una gara che ben presto si è messa sui binari di Cantù. Non una reazione, non un sussulto d’orgoglio da parte di Milano, che in difesa è stata perforata con irrisoria facilità da una squadra in serata di grazia, favorita anche dall’atteggiamento “intollerabile” – come lo ha definito Livio Proli – della squadra milanese.

Non è facile e nemmeno corretto trovare un colpevole unico in una barca affondata alla prima difficoltà: vero è che, se in Europa la squadra ha palesato e continua a palesare limiti evidenti, almeno in Italia Milano avrebbe dovuto farsi trovare pronta a uno dei due obiettivi realistici (tre, considerando la Supercoppa) della stagione. E invece così non è stato, il body language ha mostrato una serie di giocatori incapaci di reagire alle difficoltà, altri – vedi Jerrells – piombati in un vortice di mediocrità da cui non sembrano essere in grado di uscire, altri ancora – Pascolo e Abass – utilizzati con il contagocce nel corso della stagione e quasi mai decisivi nell’annata.

IL NON-GIOCO – dopo oltre sei mesi, nell’appuntamento più importante fino a questo momento della stagione, Milano dimostra tutti i limiti di un gioco che latita. Un solo spartito, il pick’n’roll, e poi spazio all’estro, o alle serate di gloria dei singoli giocatori. Tante iniziative sono estemporanee, non c’è una traccia riconoscibile di un lavoro che avrebbe dovuto portare la squadra ad essere evoluta rispetto a inizio stagione. Anzi, forse è accaduto il contrario: dopo un avvio anche promettente, Milano nel corso dell’annata è peggiorata sempre di più, sia in attacco, sia soprattutto in difesa, un autentico colabrodo in Europa, andata in evidente difficoltà anche ieri e in generale nelle sfide contro le migliori squadre italiane. Un progetto tecnico che stenta a decollare, per l’incapacità di alcuni giocatori di prendersi le proprie responsabilità e per le difficoltà dello staff tecnico di trovare qualcosa di diverso rispetto al piano gara. Difficilmente in stagione Milano è riuscita a proporre qualcosa di diverso rispetto a quanto aveva pensato inizialmente, subendo spesso e volentieri le iniziative delle avversarie forti: anche ieri, avendo tutto da perdere, la squadra si è sciolta come neve al sole.

La sconcertante pochezza di gioco e voglia mostrata dai giocatori di Milano ieri deve fare riflettere non solo per il presente, ma anche per il futuro: è vero che il calendario di EuroLega è stato massacrante, ma non può costituire in alcun modo un alibi per giustificare delle prestazioni decisamente al di sotto delle aspettative e del valore potenziale che la squadra di Pianigiani potrebbe esprimere. Ma forse è proprio qui la differenza: Milano è un gruppo di giocatori, più o meno talentuosi, ma non è ancora una squadra, o lo è solo in parte. Pianigiani si riferisce a questo quando parla di vissuto comune di  giocatori che non si conoscevano e che, in alcuni casi, sono alla prima esperienza in Italia. Ma è possibile che dopo sei mesi di lavoro non si riconosca un’identità a una squadra partita con grandi ambizioni e già fuori da due delle tre competizioni a cui ha partecipato dall’inizio della stagione?

Tra le perplessità legate alla partita di ieri: perché rinunciare a Tarczewski contro una squadra ridotta ai minimi termini, in particolare sotto canestro? Perché preferire un Jerrells assolutamente dannoso e avulso dal gioco e che non è riuscito nemmeno in difesa a dare il proprio contributo? Perché Gudaitis non è riuscito a sfruttare la sua maggiore stazza contro i lunghi canturini, tirando solo due volte in 16 minuti? Perché la squadra tende ad affidarsi spesso a iniziative individuali fatte di tanti secondi di palleggio prima di arrivare a una soluzione forzata? O comunque non frutto di una costruzione?

IL FUTURO – Tutte domande che devono aleggiare nella testa dei giocatori, messi davanti alle proprie responsabilità sia da Livio Proli, che ha definito vergognosa la partita di ieri, sia da Simone Pianigiani – intoccabile per la dirigenza – che ha parlato di giocatori che devono essere pronti a mettersi l’elmetto per affrontare la seconda parte di stagione. Ma toccherà anche all’ex CT della Nazionale fare delle scelte dure, capire chi realmente è pronto ad andare in battaglia per il bene della squadra e chi invece non potrà dare il proprio contributo da qui a fine anno. Serve invertire la rotta, perché Cantù ieri ha rappresentato un punto di non ritorno, da cui non si può scappare: la vittoria della squadra di Sodini ha fatto squillare un grande campanello d’allarme nella squadra di Pianigiani, chiamata ora a cambiare marcia per non fare diventare la stagione un fallimento totale.

Perdere aiuta a perdere: le sconfitte europee si riflettono in campionato, e Milano fatica

Perdere aiuta a perdere: le sconfitte europee si riflettono in campionato, e Milano fatica

La sconfitta patita in casa di Varese fa suonare un campanello di allarme importante per la stagione dell’Olimpia Milano. Vero, si potrebbe definire la partita contro la squadra di Caja un incidente di percorso, una sconfitta fisiologica dopo le fatiche europee che hanno impegnato la squadra in settimana.

Ma la realtà dice ben altro. L’Olimpia è una squadra che fatica a trovare un capo e una coda. Che alterna momenti di pallacanestro apprezzabile – specie coinvolgendo Gudaitis e/o Tarczewski, due dei più positivi fino a questo momento della stagione – ad altri in cui la palla ristagna per molti secondi e finisce nelle mani di un esterno, che forza una soluzione uno contro uno. Una squadra che vive delle percentuali nel tiro da tre punti, pur avendo in Gudaitis uno dei migliori giocatori del campionato per impatto e voci statistiche. La riprova sono le 36 conclusioni scagliate da oltre l’arco – segnate con il 27% – a fronte di soli 32 tiri da due punti, converititi con il 60%. E non basta il talento dei singoli giocatori per recuperare partite o parziali che fanno sprofondare la squadra anche in doppia cifra di svantaggio. Non in Italia, men che meno in Europa.

E proprio il percorso europeo sta incidendo sul cammino di Milano in Italia. Non solo e non tanto a livello di dispendio fisico, perché Avellino, pur avendo giocato 12 partite in Europa, produce la migliore pallacanestro d’Italia insieme a Brescia. Forte di un gruppo solido e di un progetto tecnico chiaro, Sacripanti ha potuto inserire il talento di Filloy, Fitipaldo e Rich. Il risultato è il secondo posto in classifica, risultato di una crescita costante negli anni. Milano è all’inizio di un progetto triennale, che Pianigiani ha sposato in toto. Il percorso è appena iniziato, ma i passi in avanti confortanti di inizio stagione non hanno poi trovato conferme con il passare dei mesi, con una regressione a livello di prestazioni e risultati che deve preoccupare lo staff tecnico milanese.

Perché a meno di un mese dalla Coppa Italia, il primo grande obiettivo della stagione – senza considerare la Supercoppa di settembre – i segnali sono tutt’altro che positivi. Ed è pure vero che, come ribadito da Pianigiani più volte nel corso delle interviste post gara, il cammino in patria delle squadre che disputano l’EuroLega, in patria non è così agevole. Ma è altrettanto vero che tutte le squadre, con errori, limiti o difetti, progrediscono. Milano questo scatto non è ancora riuscito a farlo, le vittorie in EuroLega sono spesso arrivate al termine di rimonte quasi disperate affidate al talento dei singoli o in gare controllate fin dalla palla a due. Ma sono arrivati anche ribaltoni pesanti, contro squadre non alla portata, in cui la squadra di Pianigiani ha mostrato tutti i suoi limiti attuali, evidenziati quando il passivo diventa difficile da recuperare. La squadra si spegne, molla, smette di giocare: emblematico il quarto periodo disputato contro il CSKA Mosca in questo senso, in cui De Colo e compagni hanno banchettato contro una squadra con la testa già negli spogliatoi. E proprio questo atteggiamento è deleterio per un roster che ha trascorso insieme i primi mesi, che non ha ancora trovato la giusta chimica e non riesce a rendere al meglio. Eppure nell’ultimo periodo la squadra ha dato segnali di crescita confortanti, subito smentiti dalle due partite con Maccabi e Varese.

Le rotazioni di Pianigiani hanno al momento escluso Abass e, almeno in Europa, anche Pascolo, due dei giocatori che sotto la gestione di Repesa avevano trovato grande spazio ed erano diventati dei fattori, pur in una stagione avara di soddisfazioni. Quest’anno le scelte sono diverse, con l’arrivo di Kuzminskas gli spazi per “Dada” si sono ridotti, mentre non è bastata la separazione con Dragic per fare entrare nelle rotazioni l’ex capitano di Cantù. Situazioni da chiarire in vista del finale di stagione, a cui Milano vuole arrivare nelle migliori condizioni psico-fisiche possibili per riconquistare lo Scudetto.

Ma gli equilibri non possono che passare da un buon finale di stagione europeo, fatto di prestazioni che possano fare crescere i giocatori che maggiormente hanno bisogno di trovare ritmo e fiducia. E che permettano di cambiare passo anche in Italia, dove ogni squadra affrontata dall’Olimpia scende in campo con motivazioni extra, consapevole che Milano è sulla carta la squadra più forte del campionato. E non è un caso che le sconfitte più importanti in Italia siano arrivate contro le più dirette rivali per lo Scudetto – i campioni d’Italia di Venezia e la Sidigas Avellino di Sacripanti – oltre che con la Dinamo Sassari, capace di una grande prova balistica nella gara in terra sarda. La vittoria al photofinish con Brescia ha dimostrato che con il talento si possono risolvere le partite, ma senza il lavoro operaio dei Pascolo, Cinciarini il talento da solo non basta.

Coinvolgere maggiormente Gudaitis e Tarczewski in attacco non è solo una necessità, ma un dovere, visto il fatturato dei due centri della squadra. In Italia e in Europa si stanno affermando come due ottimi interpreti del ruolo, ma in un gioco eccessivamente perimetrale abbassano la loro produzione e il loro impatto sulla gara.

Lo scatto a cui è chiamata la squadra è anche mentale, perché l’accettazione della sconfitta come condizione quasi obbligata in Europa non può portare a grandi risultati in Italia. Un cambio di rotta è necessario, per trasformare la stagione in vincente.

Mindaugas Kuzminskas, l’apriscatole che mancava all’Olimpia

Mindaugas Kuzminskas, l’apriscatole che mancava all’Olimpia

L’arrivo di Mindaugas Kuzminskas a Milano, con il giocatore che ha affidato a Facebook  le sue sensazioni per avere lasciato – almeno fino a fine stagione, ma nei progetti e nelle idee Olimpia anche di più – la NBA per fare ritorno in Europa, rappresenta un colpo di primo livello per la squadra di Pianigiani e anche per la Serie A. Il lituano è un giocatore già fatto e finito, che ha doti balistiche importanti da oltre l’arco unite a una capacità di penetrare dovuta a un fisico solido e atletico: conosce bene il basket europeo e l’EuroLega, che ha provato a Malaga e a Kaunas, prima di intraprendere la sua avventura americana.

A una prima analisi si tratta di una ‘win-win’ situation: Milano guadagna in talento, profondità ed esperienza in un ruolo, quello del ‘4’, che nell’idea di gioco di Pianigiani deve avere una doppia dimensione, sia bravo a colpire da oltre l’arco dei tre punti sfruttando gli assist degli esterni, sia un’abilità di giocare spalle a canestro o in avvicinamento che apra il campo anche per le iniziative altrui. Per il lituano la possibilità di tornare a giocare ad alto livello dopo il taglio da parte dei Knicks, in una competizione durissima e avendo vicino Kalnietis e Gudaitis, suoi compagni anche in Nazionale, che lo possono aiutare nell’inserimento all’interno di un gruppo nuovo.

L’identikit di Kuzminskas sembra dunque essere perfetto per le necessità di roster della squadra milanese, evidenziate anche dall’allenatore al termine della sconfitta contro la Stella Rossa, con un riferimento esplicito a Jefferson che non è mai stato quello ipotizzato nei piani estivi. Il vistoso calo di M’Baye e il recupero di Dada Pascolo avvenuto solo da poco hanno fatto il resto: Milano aveva una carenza strutturale in un ruolo determinante soprattutto a livello europeo e, nonostante la situazione di classifica deficitaria, l’arrivo di Kuzminskas si era reso necessario in vista della seconda parte di stagione. Avere un’alternativa ulteriore di alto livello all’interno delle rotazioni era l’obiettivo della squadra, per potere gestire le rotazioni tra campionato e coppa in vista del primo appuntamento stagionale, le Final 8 di Coppa Italia cui l’Olimpia vuole arrivare pronta per confermare il titolo vinto lo scorso anno.

LA DOPPIA DIMENSIONE – Ho parlato del ruolo strategico del ‘4’ nella pallacanestro moderna e in particolare nell’interpretazione del ruolo che le squadre di Pianigiani hanno spesso avuto. A Siena per anni Shaun Stonerook è stato il titolare del ruolo, capace di essere l’ideale collante con un reparto esterni ricco di talento. Il tiro da tre e la difesa erano le caratteristiche dell’allora capitano di Siena, Kuzminskas si approccia al mondo milanese con qualità diverse ma che in parte ricalcano quelle di Stonerook. Il tiro da tre punti è la specialità della casa, scoccato con grande regolarità da ogni zona dietro l’arco, con una predilezione per il tiro dalla punta su tutti.

L’altra grande alternativa nel gioco dell’ala lituana è il tiro al ferro: il suo atletismo lo rende capace di arrivare fino in fondo spesso e volentieri, sfruttando anche un fisico che lo rende spesso più ‘grosso’ dei numeri 3, almeno in Italia, e più rapido dei numeri ‘4’ anche europei. Manca del tiro dalla media distanza, una soluzione non così congeniale al suo gioco e nemmeno utilizzata con grande regolarità, almeno nella sua esperienza americana dello scorso anno, come evidenziato dal grafico delle sue zone di tiro realizzato da Austin Clemens (qui il link interattivo):

kuzminskas shot chart
austin clemens.com

Proprio per questo la doppia dimensione di Kuzminskas lo può rendere una sorta di ‘apriscatole’ delle difese avversarie, che devono adattarsi alle sue scelte di tiro. La sua capacità di arrivare al ferro e le sue doti tecniche che lo rendono un passatore affidabile lo rendono un osservato speciale. La contemporanea presenza di Micov e Kuzminskas sul parquet, una soluzione tattica che Pianigiani potrebbe proporre soprattutto nei duelli europei, permette di avere un ottimo assortimento per fisicità e qualità tecniche di entrambi, in un reparto ali che ha bisogno del talento e della forza per potere resistere contro i pari ruolo avversari.

GIOCATORE ELEGANTE – Non è un attaccante formidabile, quello che dovrebbe essere Goudelock, non è un realizzatore di razza, ma è un giocatore che si può definire elegante: sempre in controllo dei propri mezzi, sa aspettare il momento della partita in cui colpire. Non è un giocatore da 20 punti a sera, ma li può segnare, è più un all around player abile nel fare tutte le cose che servono alla squadra per vincere.

Non a caso, nella nazionale lituana è una delle punte di diamante e giocatore molto rappresentativo proprio per la sua capacità di mettere la squadra davanti al singolo. Una meccanica di tiro molto efficace, la grande forza di emergere nei momenti tosti e difficili delle gare, un’eleganza sul parquet che ha pochi eguali.

Per il mercato italiano un colpo da novanta, un giocatore di questo calibro nel pieno della carriera non può che fare bene al basket nostrano, per poterlo ammirare e vedere realmente di che pasta è fatto, dopo averlo visto all’opera con la Lituania, spesso decisivo nei successi dei baltici sugli Azzurri.

Ma è un colpo eccellente anche per Milano, che dimostra di potere competere su alcuni ingaggi anche con i top team europei bisognosi di rinforzi dopo una prima parte di stagione altalenante, per non dire deludente, in EuroLega. Probabilmente non basterà Kuzminskas per invertire la rotta stagionale, certo è che il suo arrivo offre una soluzione tattica ulteriore e non indifferente a Pianigiani, chiamato ora a trovare il modo per farlo rendere al meglio.

Doncic stellare, ma Milano è più viva che mai

Doncic stellare, ma Milano è più viva che mai

Cade ancora l’Olimpia Milano, sconfitta a Madrid per 101-90 dalla squadra di Laso. Protagonista assoluto della sfida Luka Doncic, che incanta e domina la gara con una prestazione a tutto tondo. Da registrare i passi in avanti di Milano, competitiva contro una delle squadre più forti d’Europa – pure se con assenze pesanti – per l’intero arco della gara, conducendo nel punteggio a lungo nel primo tempo e in avvio di ripresa. La squadra di Pianigiani cresce partita dopo partita e conferma quanto di buono mostrato nelle prime uscite stagionali in Europa. Ecco i punti chiave della gara:

  • 27 punti e 41 di valutazione. Basterebbero questi numeri a evidenziare la clamorosa prestazione di Luka Doncic nell’arco dei 40 minuti. Ma non solo, perché il fuoriclasse sloveno aggiunge 8 rimbalzi, 5 assist, 3 recuperi e 10 falli subiti, in una prova a tutto tondo che certifica la sua maturazione e la sua leadership all’interno della squadra. Un impatto devastante con la nuova stagione, è lui il go-to-guy della squadra di Laso. Sempre in controllo, a tratti sembra quasi giocare con leggerezza, forte della sua superiorità nei confronti degli avversari. Immarcabile per campionario e continuità di soluzioni, è un rebus irrisolto per la difesa milanese;
  • 100. Come i punti subiti dall’Olimpia nella gara di stasera. Tanti, troppi per potere pensare di vincere in Europa contro avversari di questo livello. I miglioramenti della squadra sono evidenti soprattutto da un punto di vista offensivo, perché difensivamente gli oltre 90 punti di media subiti da CSKA, Fenerbahce e Real devono essere letti come uno stimolo a crescere nell’arco dei 40 minuti, limitando errori e palle perse per avere un migliore rendimento difensivo. Nonostante le diverse stoppate messe a segno dai lunghi, per Pianigiani c’è ancora molto lavoro da fare per creare un impianto difensivo che permetta di giocare alla pari con le migliori squadre europee. Da questo passa il salto di qualità che la squadra dovrà fare in Europa;
  • 17. Sono gli assist con cui l’Armani ha concluso la gara, testimonianza della volontà di coinvolgere i compagni in un gioco corale e di alta qualità. Molto nasce dal pick and roll, con Micov, Goudelock e Theodore chiamati a creare soluzioni comode per sé e per i compagni. Poche sono le soluzioni individuali create fuori dai giochi, spesso arrivano per necessità o per libertà concessa. La fluidità nel girare la palla è uno degli aspetti più confortanti per l’allenatore di Milano, che vede nei suoi giocatori la voglia di essere coinvolti e partecipi di un gruppo.
  • 20-0. E’ il parziale che indirizza la partita a favore del Real. Dal 60-54 milanese in apertura di terzo quarto, gli spagnoli realizzano un parziale enorme aumentando l’intensità difensiva e togliendo sbocchi in area al gioco dell’Armani e al tempo stesso trovando in Doncic e Campazzo due costruttori di gioco indiavolati che propiziano il break. Sul 74-60 Milano comincia la propria rimonta, ma non sarà mai in grado di tornare veramente a contatto, se non sul -3 dopo la tripla di Goudelock del 92-89 a 2 minuti dalla fine, con la successiva di Causeur che ha definitivamente lanciato il Real verso la vittoria.
  • Gudaitis e Jefferson, due facce opposte. Il lituano conferma di essere giocatore vero, migliorando su entrambi i lati del campo e chiudendo con una performance da 20 punti e un immacolato 9/9 al tiro, ma 2/6 ai liberi, che lo elegge a migliore realizzatore di Milano. Vero che la maggior parte dei suoi canestri sono frutto di schiacciate arrivate dopo un passaggio che lo ha smarcato, ma questo è anche sintomo di una grande presenza e di una grande intensità messa in campo nel corso della gara. L’ala, invece, non viene utilizzato da Pianigiani, a testimonianza anche del periodo difficile che sta attraversando e dalla necessità che ha di crescere per potere contribuire al meglio nel gioco della squadra. In attesa del rientro di Pascolo, è M’Baye il titolare del ruolo di ‘4’, l’americano al momento sta avendo un ruolo marginale nella squadra.

La Serbia chiude l’era Messina. Ora un nuovo inizio

La Serbia chiude l’era Messina. Ora un nuovo inizio

L’Italia cade ai quarti di finale: è la Serbia ad interrompere il cammino degli Azzurri ad EuroBasket. Una sconfitta giusta e maturata al termine di una gara in cui la squadra di Djordjevic ha sempre condotto le danze – eccezion fatta per il primo quarto – mantenendosi spesso oltre la doppia cifra di vantaggio. La differenza a rimbalzo è stata una delle chiavi del successo serbo, con l’Italia più che doppiata nel computo totale della carambole catturate. Obiettivamente, vista la forza di questo gruppo, essere arrivati ai quarti come due e quattro anni fa può essere un buon risultato, ma il futuro attualmente è un’incognita.

LA SERBIA E’ PIU’ – La Serbia è più forte, più atletica, più fisica, più talentuosa dell’Italia. Insomma, la Serbia è più rispetto a noi. Il lavoro di Djordjevic in panchina continua a produrre risultati, con la Nazionale mai fuori dalle quattro ad una manifestazione continentale dal 2014 ad oggi, nonostante le assenze con cui Sasha ha spesso e volentieri dovuto fare fronte. Potenziali 4/5 del quintetto assenti a questo EuroBasket, i serbi sono stati plasmati attorno al talento di Bogdan Bogdanovic, uno dei giocatori più eleganti del torneo, cresciuto in maniera esponenziale nel corso degli ultimi due anni e ora pronto a sbarcare in NBA. Il resto della squadra presenta tanti elementi di talento, che Djordjevic ha trasformato in suoi soldati pronti ad andare in battaglia: i vari Lucic, Bircevic, Milosavljevic, Macvan, Stimac, Micic sono tutti giocatori che si esaltano nel sistema e offrono un contributo importante alla causa in uscita dalla panchina o da titolari. Di maggiori libertà gode Stefan Jovic, il regista di questa Serbia, un giocatore solido e capace di contribuire in molti modi alle prestazioni della squadra. Squadra che, seppure rimaneggiata, si presenta alle semifinali con un’unica sconfitta nel percorso fin qui compiuto, proprio contro quella Russia avversaria della semifinale stessa. La Serbia ha stritolato l’attacco italiano, con una difesa fatta di cambi e di aggressività che ha tolto Belinelli dalla partita e lo ha scollegato dal resto dei compagni di squadra, che ha costretto la squadra di Messina a palleggiare molto e a forzare soluzioni di tiro estemporanee e molto statiche. Le cattive percentuali degli Azzurri nel tiro da tre punti sono state frutto dell’ottima difesa della Nazionale di Djordjevic, in grado di eseguire perfettamente il piano partita fin dalle prime battute per prendere in mano il comando delle operazioni e non voltarsi più fino alla sirena finale.

Non c’è stato un solo momento in cui si potesse pensare ad un cambio di volta nella gara, l’Italia non è mai andata oltre il -8 nel secondo tempo e le enormi difficoltà a rimbalzo hanno compromesso ogni tentativo di rimonta. Messina ha provato in tutti i modi a cambiare le carte in tavola e a mettere in difficoltà gli avversari, ma le infinite armi a disposizione della Serbia in panchina hanno fatto la differenza: negli unici momenti in cui gli Azzurri hanno cercato di cambiare l’inerzia, le giocate sontuose di Bogdanovic hanno rimesso la gara sui giusti binari.

Si conclude così l’avventura di Ettore Messina alla guida della Nazionale, un biennio in cui lo stesso allenatore ha lottato e provato a migliorare la squadra, in cui la delusione del mancato accesso alle Olimpiadi ha rappresentato un punto molto basso della storia recente degli Azzurri. Chiedersi perché  non si vince niente da 13 anni è doveroso, capire come invertire la tendenza è il compito che spetta al nuovo CT Sacchetti, che dovrà misurarsi con le qualificazioni Mondiali già a partire da novembre.

QUALE FUTURO PER L’ITALIA? – Sacchetti non si trova di fronte a un compito facile, considerando che dovrà plasmare nuovamente la Nazionale con i giocatori che avrà a disposizione per le qualificazioni Mondiali. Senza gli NBA e i giocatori di EuroLega sarà un’Italia molto nuova e rinnovata, in cui potranno trovare spazio alcuni giocatori che hanno fatto parte del giro della Nazionale nel corso degli ultimi anni ma anche debuttanti assoluti. Occorre aprire un nuovo ciclo, perché la generazione di Belinelli, Datome, Hackett, Gallinari potrebbe avere concluso la sua esperienza con la maglia Azzurra, o essere molto vicina alla conclusione.

Ripartire da Melli, Pascolo, Abass sarà il mantra del nuovo CT, che dovrà selezionare al meglio i giocatori per provare a qualificarsi ai Mondiali dove l’Italia manca da ormai troppi anni. Un nuovo percorso rispetto al gioco molto organizzato di Messina, una scelta fatta sulla base dei risultati che Sacchetti ha ottenuto negli ultimi anni a livello di club. I vertici europei sono ancora distanti, e non è detto che la forbice si dilati ulteriormente, ma questa Italia deve invertire la rotta per provare a tornare ad essere una delle migliori squadre del Vecchio Continente.

Dare fiducia ai giovani sarà un elemento fondamentale per costruire il futuro, perché è vero che spesso i risultati delle Nazionali giovanili sono fuorvianti e rischiano di essere solo controproducenti, ma al tempo stesso i ragazzi devono avere il loro spazio, se meritano di giocare, per potere crescere e misurarsi al massimo livello possibile. Sacchetti non avrà un compito facile, ma ha l’esperienza e le competenze per potere svolgere al meglio il proprio incarico. Ripartendo quasi da zero, per provare a costruire un futuro migliore.

 

L’Italia di Messina, tra ambizioni e realtà

L’Italia di Messina, tra ambizioni e realtà

“Rien ne va plus, les jeux sont faits”.

Una celebre espressione dei tavoli da gioco al Casinò può riassumere l’avvicinamento e l’imminente Europeo che aspetta la Nazionale italiana. Ettore Messina ha calato le sue fiches sul tavolo, ha puntato sugli uomini e sui giocatori che ha ritenuto più adatti per affrontare la rassegna iridata, ultimo atto del suo mandato bis. Un Europeo che può prendere diverse strade, che non vede l’Italia partire in pole position sulla griglia di partenza ma un torneo in cui, come dice il CT, “potrà succedere di tutto una volta arrivati alla fase ad eliminazione diretta”. Istanbul, quindi, l’obiettivo dichiarato della spedizione italiana, pronta a sorprendere pur stanti alcune assenze importanti, su tutte quella di Danilo Gallinari.

NO GALLO, STIMOLO PER TUTTI – Danilo Gallinari è indubbiamente il giocatore di maggiore talento che il nostro panorama offre attualmente. Quello che avrebbe dovuto essere il leader offensivo della squadra di Messina si è autoescluso da EuroBasket in una calda serata estiva a Trento, pagando a caro prezzo un attimo di non lucidità. No Gallo, dunque. L’Italia non ha la possibilità di rimpiangere l’assenza del neo giocatore dei Clippers, Messina ha dovuto lavorare a lungo per ricreare degli equilibri che pensava di avere trovato al momento del taglio di Cusin, salvo poi essere costretto a fare retromarcia per riequilibrare la squadra. L’Italia non ha grande fisicità, a parte il ‘Cuso’ l’altro centro è Biligha, undersize alla prima esperienza di questo livello, con Melli che sarà chiamato a giocare diversi minuti da ‘5’ in un quintetto molto leggero e d’assalto. La cronica mancanza di un centro dominante, essenziale nella pallacanestro moderna, può essere risolta con soluzioni alternative, mentre per quanto riguarda gli esterni il ruolo del playmaker non ci vede tra le Nazionali di primissima fascia. Parliamoci chiaro, Hackett è un ottimo giocatore che dà intensità e difesa, oltre a iniziative in attacco e leadership, ma è reduce da 6 mesi senza giocare a causa di un infortunio. Cinciarini è un giocatore di rottura da utilizzare nei momenti di bisogno, con la difesa e l’intensità, mentre Filloy, stupendo metronomo della Reyer tricolore, è anch’egli alla prima avventura europea con l’Italia. E quindi sarà fondamentale l’apporto di Belinelli e Aradori, probabilmente i due giocatori dotati del maggiore talento e della capacità di trovare soluzioni balistiche importanti sia dal perimetro che in penetrazione. E dovrà essere per forza di cose anche l’Europeo di Gigi Datome, che avrà un ruolo di collante tra esterni e lunghi pur con compiti diversi rispetto a quelli che svolge splendidamente con Obradovic al Fener. Sarà necessario un maggiore apporto a livello di punti, ma con la sua classe e la leadership potrà essere un condottiero importante per questa Nazionale. L’assenza di Gallinari dunque ha lasciato un vuoto tecnico importante, ma al tempo stesso offre un’opportunità e una responsabilità uniche a un gruppo che vuole dimostrare di potere valere i vertici europei.

MESSINA COME LEONIDA – Nazionale con dei limiti, evidenziati dalle sconfitte contro Belgio e Francia a Tolosa, ma che il CT sta provando a plasmare a sua immagine e somiglianza, L’istinto del vincente, la voglia di battersi e di dimostrare di essere più bravi dei propri avversari, l’idea di superare i propri limiti e provare a raggiungere traguardi difficili: in questo dovrà essere decisivo Messina. Un Messina che ha indicato la via fin da subito, affermando come “dovremo essere la miglior difesa del torneo, altrimenti possiamo anche non parteicpare”. Un diktat chiaro e preciso, una necessità legata anche alle difficoltà a segnare trovate in diverse occasioni nel percorso di avvicinamento ad EuroBasket: non siamo e difficilmente saremo una squadra che potrà vincere a 80 e più punti, quindi c’è una sola via per ottenere il successo: difendere. Con la sua esperienza il vice allenatore degli Spurs dovrà incarnare la figura di Leonida, che nel film ‘300’ ha saputo guidare il proprio esercito oltre le difficoltà, mettendo in difficoltà lo sconfinato esercito persiano nella battaglia delle Termopili. Un leader, un faro, una guida: tutto questo dovrà essere l’allenatore catanese, per provare a sognare in grande.

QUANTE ASSENZE, ITALIA OUTSIDER – Non solo Gallinari, questa edizione di EuroBasket sarà caratterizzata dalle tante assenze. A cominciare dalla Spgna, che non poteva contare su Claver, Rudy, Mirotic e Ibaka e ha perso Sergio Llull per infortunio – rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio destro – nel corso dell’amichevole contro il Belgio. O la Serbia, costretta a rinunciare a Bjelica e che ha visto il forfait di Raduljica e Teodosic, o ancora la Grecia, senza Giannis, o la Francia, che non avrà Parker e Gobert. Un Europeo con così tanti assenti illustri lascia aperte le porte a qualsiasi risultato, pur restando queste squadre tra le favorite per la vittoria finale. L’Italia può essere una squadra outsider, capace di ottenere anche un grande risultato e di andare contro i pronostici della vigilia. E questo Messina lo sa bene, è stato lui a dirlo, prefissando in Istanbul il primo passo da compiere per poi provare a sognare.

Pianigiani e un’Olimpia costruita su misura per lui

Pianigiani e un’Olimpia costruita su misura per lui

Il suo passato senese da una parte, il suo palmares e le sue vittorie dall’altra: Simone Pianigiani si appresta a iniziare la sua prima stagione milanese accompagnato dai sentimenti contrastanti dei tifosi, di cui si è ampiamente discusso. Messo da parte il #nopianigiani, vero e proprio leit motiv di giugno, perché volenti o nolenti sarà l’ex allenatore di Siena e della Nazionale, oltre che di Fenerbahce e Hapoel, il nuovo condottiero dell’Olimpia, è tempo di fare una prima valutazione, quella relativa alla costruzione del roster.

Partendo proprio dall’allenatore: Livio Proli ha deciso per un allenatore italiano ed è andato sulla piazza a scegliere quello che – tra i possibili, quindi escludendo il ritorno di Messina in Europa – ha vinto di più nel corso degli ultimi anni. Una scelta tecnicamente inattaccabile, con la volontà chiara di Proli di tornare a vincere. E Pianigiani ha dimostrato di saperlo fare: in primis a Siena, dove ha costruito una dinastia – senza entrare nel merito delle vicende extra campo – e all’Hapoel, prendendo in mano una Nazionale in stato comatoso e riportandola a competere per i vertici europei. La fallimentare esperienza turca è stata cancellata dal trionfo dell’anno scorso in Israele. Pianigiani arriva a Milano nel momento giusto della carriera, con l’esperienza data dalle vittorie e le sue competenze, e al tempo stesso con l’ambizione dettata dal portare sul metto il simbolo dell’Olimpia e il nome di Armani.

A Pianigiani verrà chiesto un cambio di rotta soprattutto in chiave europea – ciò non significherà necessariamente entrare nelle prime otto, ma competere per essere stabilmente in quel nucleo di squadre immediatamente dietro alle grandissime – oltre al ritorno al predominio in territorio nazionale, esattamente come l’allenatore toscano aveva fatto nella sua esperienza a Siena, facendo incetta di trofei alla guida della Montepaschi.

E per fare ciò Milano non ha badato a spese, scegliendo un mix di giocatori già noti nel panorama europeo o in rampa di lancio o ancora in cerca di riscatto: una squadra forgiata secondo le idee dell’allenatore, che predilige esterni con punti nelle mani e centri bravi anche a difendere e rim protector. E va proprio in questa direzione la scelta di un reparto guardie formato da Jordan Theodore – con l’ufficialità attesa a breve – e Andrew Goudelock: il primo è il playmaker moderno per eccellenza, il giocatore capo a cui sarà chiesto di dettare e gestire i ritmi dell’attacco milanese. Reduce da una stagione sensazionale al Banvit, guidato alla vittoria della Coppa di Turchia e alla finale di Champions League, stupisce ed impressiona la ratio assist/palle perse messa insieme in stagione, che in europa recita 2.4. Cifre impressionanti, considerati anche i suoi 7.5 assist di media, che lo hanno reso per distacco il miglior passatore del torneo.

Accanto a lui Andrew Goudelock, di cui ho già parlato: un attaccante mortifero capace di creare il tiro in ogni circostanza e che predilige avere il pallone tra le mani. Come si gesitranno Theodore e il Mini Mamba? Pianigiani ha dimostrato a Gerusalemme di sapere fare convivere Jerrells e Dyson, due attaccanti che esprimono il loro meglio con la palla tra le mani. Theodore e Goudelock sono due giocatori di livello europeo, per un back court di assoluto livello in attacco, che potrebbe pagare qualcosa in difesa, non essendo nessuno dei due un difensore eccelso.

E per questo sono arrivate le firme di Dairis Bertans e Vlado Micov, esterni capaci di dare il loro contributo non dovendo necessariamente segnare molto. L’ex esterno del Darussafaka è stato spesso e volentieri impiegato da Blatt anche come specialista difensivo, oltre che come tiratore in un quintetto d’assalto, che si potrà vedere anche a Milano. Bertans e Micov, o Abass e Fontecchio, potrebbero rivestire un ruolo simile a quello avuto da Romain Sato negli anni di Siena. Chiariamoci, il centrafricano era un difensore sopraffino, superiore ai sopra citati, e in grado di offrire grandi prestazioni offensive: il suo era un ruolo anche di collante tra esterni molto talentuosi e dei lunghi più bravi in certi aspetti.

La scelta del 4/5, la pedina mancante nel roster Olimpia, dirà molte cose delle ambizioni europee della squadra. Per forza di cose sarà un giocatore comunitario, l’identikit è quello di un lungo in grado di offrire una doppia dimensione, con spiccate doti perimetrali per aprire il campo. All’occorrenza, in un quintetto piccolo e d’assalto, potrebbe essere lo stesso Vlado Micov a rivestire il ruolo di ‘4’, ma nelle idee della società un rinforzo verrà inserito. Potrebbe essere un giocatore alla Shaun Stonerook, che con la sua leadership, la sua difesa e le sue qualità perimetrali – unite alla capacità di emergere nei momenti più importanti – lo hanno reso imprescindibile nel sistema di gioco di Siena.

Patric Young può essere paragonato a Ben Eze: un centro che non ha bisogno di essere troppo coinvolto in attacco per fornire il suo contributo. Un rim protector, come testimoniato nella sua ultima annata all’Olympiacos – chiusa con 2.4 rimbalzi in 9’36” di impiego medio, che rapportati sui 40 minuti fanno appena meno di 10 di media – e un giocatore dal grande atletismo, in grado di stoppare gli avversari con continuità e che potrebbe costringere a cambiare le parabole di tiro. Una super scommessa lo ha definito Livio Proli, per via delle sue ultime due stagioni tormentate da un infortunio che lo ha bloccato quando sembrava essere in rampa di lancio: se sano è un crack notevole per una squadra come l’Olimpia.

In sostanza, in attesa dell’ultimo colpo di mercato della società, la nuova Milano è stata creata a immagine e somiglianza del suo allenatore, con l’obiettivo di tornare a vincere. La palla ora passa a Pianigiani, che dovrà dimostrarsi un sarto capace di cucire insieme tutti i dettagli per costruire un ciclo vincente. Questa Olimpia ricorda come impostazione la grande Siena del tecnico toscano, il campo dirà se sarà in grado di essere altrettanto vincente.

 

Drew Goudelock, il giocatore ideale per Pianigiani

Drew Goudelock, il giocatore ideale per Pianigiani

Drew Goudelock, su di lui è caduta la scelta dell’Olimpia Milano per il ruolo di guardia titolare del nuovo corso targato Pianigiani. Una scelta, quella del giocatore ex Maccabi, che implica di fatto la rinuncia a Curtis Jerrells – peraltro certificata dal rinnovo biennale firmato da ‘The Shot’ all’Hapoel Gerusalemme – e che apre a una serie di considerazioni interessanti relativamente all’inserimento del giocatore nello scacchiere tattico di Pianigiani.

Guardia o play? – Goudelock ha giocato come guardia nel corso della sua intera carriera, è stato un obiettivo di Milano già qualche estate fa, prima di preferire offerte più remunerative per la sua carriera. Ora, in una fase di rilancio dopo una stagione deludente a livello di risultati, le sue ambizioni collimano con quelle dell’Olimpia desiderosa di tornare ad essere protagonista in Italia e di migliorarsi in Europa.

Sul ruolo del Mini Mamba non sembrerebbero esserci dubbi, dovrebbe essere la guardia titolare anche nella sua nuova squadra. Le sue caratteristiche – ama avere la palla in mano per creare più per se stesso che per gli altri, nonostante i 3 assist di media nell’ultima EuroLega – lo rendono un giocatore quasi ibrido tra i due ruoli. I 17 punti di media, con percentuali eccellenti al tiro (superiori al famoso 50-40-90 che rasenta la definizione di grande tiratore) lo rendono in toto un ‘2’, ma Simone Pianigiani ha abituato nel corso delle sue esperienze a giostrare molto i suoi giocatori, soprattutto nel reparto esterni.

Non è un caso che a Gerusalemme giocassero affiancati Curtis Jerrells e Jerome Dyson, due vecchie conoscenze del campionato italiano, capaci di portare la palla e al tempo stesso di essere finalizzatori del gioco della squadra. Allo stesso modo, a Siena, Pianigiani ha sempre avuto grandi attaccanti nel ruolo di playmaker, a cominciare da Terrell McIntyre, proseguendo poi con Bo McCalebb: attaccanti nati che possono essere considerati guardie a tutti gli effetti ma a cui Pianigiani lasciava molto spazio di creare dal palleggio, esaltando le loro caratteristiche.

Non dovrà stupire quindi la possibilità di vedere Goudelock anche nel ruolo di ‘1’ in certi frangenti della partita e contro determinati avversari: Pianigiani ama questo tipo di giocatori e gli lascia la possibilità di esprimersi. Anche percheé l’ex giocatore dei Lakers è più produttivo quando ha la palla in mano piuttosto che sugli scarichi.

Giocatore capo – Goudelock è un fuoriclasse, a livello offensivo puro è forse secondo solo a Langford per capacità di segnare e di costruirsi il tiro. Ma non dovrà solo mettere insieme cifre notevoli, a Milano è chiamato ad essere il go-to-guy, il leader della squadra nei momenti topici. Un giocatore, una figura tremendamente mancata nella seconda stagione di Repesa, e che ha condannato l’Olimpia sia in Europa – anche se raggiungere i playoff sarebbe stato comunque molto difficile – sia nel finale di stagione italiano quando, con la mancanza di energie della squadra, un giocatore capo avrebbe potuto provare a trascinare i compagni verso un epilogo diverso.

Goudelock può rivestire questo ruolo, ha raggiunto la maturità e l’esperienza necessarie per essere più che protagonista in una squadra che punta ad essere ambiziosa e che vuole misurarsi alla pari con le maggiori potenze del continente. A Pianigiani il compito di costruire il gioco della squadra anche attorno alle caratteristiche del giocatore americano, per fargli compiere il definitivo salto di qualità verso il rango di campione a 360 gradi, non limitandolo solo ad essere una macchina da canestri notevoli.

Tutelarlo in difesa – Uno dei compiti a cui sarà chiamato l’allenatore toscano sarà anche mettere Goudelock nelle migliori condizioni per essere efficace anche in difesa, a livello di sistema. Individualmente ha come difetto proprio la difesa, fondamentale in cui patisce contro i pari ruolo più talentuosi: l’Olimpia in questo senso si è assicurata le prestazioni di Dairis Bertans, un giocatore di sistema in grado di difendere contro l’avversario più pericoloso. E proprio questa caratteristica lo ha reso un giocatore su cui Blatt ha deciso di investire nella scorsa annata al Darussafaka. Nel reparto esterni milanese ci sono tanti giocatori che possono permettere al Mini Mamba di non pagare troppo in questo aspetto.

Era dai tempi di Langford che l’Olimpia non inseriva nel proprio roster un giocatore di questo livello, considerando MarShon Brooks di livello inferiore. Un giocatore di prima fascia europea che ha scelto Milano per il prosieguo della sua carriera nonostante il tentativo in extremis del Panathinaikos su precisa richiesta di Xavi Pascual, alla ricerca di un giocatore con queste caratteristiche. Nulla da fare per la squadra di Atene, l’agenzia di Goudelock aveva già scelto l’Olimpia e ora per i greci la possibilità diventa proprio Keith Langford, in uscita dall’Unics Kazan.

Milano vuole tornare a vincere, e per farlo ha scelto di affidarsi a un giocatore di assoluto talento. Il nuovo corso di Pianigiani procede spedito, Goudelock rappresenta il prototipo di giocatore ideale per il gioco del neo allenatore milanese. Solo il campo darà il suo verdetto, ma vedere un atleta di questo calibro in Italia deve essere considerato motivo d’orgoglio.