Meritato. Non esiste aggettivo migliore per definire lo Scudetto vinto ieri sera in gara 6 dall’Olimpia Milano: un successo netto, mai in discussione sul campo di un’Aquila Trento uscita a testa altissima ma arrivata senza forze alla partita più importante della stagione. Milano torna sul tetto d’Italia, un anno dopo essere caduta rovinosamente proprio con Trento, abbandonando le velleità di ripetere il percorso compiuto l’anno precedente. Difficile parlare di vendetta da parte dell’Olimpia, possibile, quasi doveroso, parlare di rivincita: dodici mesi dopo l’avversaria capace di eliminare Milano dai playoff è capitolata sotto i colpi di Goudelock e compagni.
Vincere, nello sport, non è mai semplice. Farlo con tutti i favori del pronostico lo è ancora di più. Lo sa bene Simone Pianigiani, chiamato la scorsa estate ad aprire un nuovo ciclo a Milano dopo la fine del percorso affidato a Jasmin Repesa. L’allenatore toscano – arrivato con lo scetticismo dei tifosi – ha saputo resistere in tutti i momenti di difficoltà della stagione, proseguendo con le proprie idee e portando avanti il suo credo. Le sconfitte europee, alcune arrivate con scarti pesanti, sembravano potere minare le (poche) certezze che aveva un gruppo nuovo nei primi mesi della stagione: la sconfitta con Cantù in Coppa Italia è stato senza dubbio il punto più basso dell’annata milanese. Da quel momento la squadra ha voltato pagina, consolidando le proprie certezze e scegliendo di affidarsi ai giocatori più talentuosi in attacco per vincere le partite. Si può affermare che il gioco espresso in dieci mesi non sia stato sempre brillante, a tratti poco gradevole anche per gli occhi ma alla fine è stato efficace. Merito anche di gerarchie che Pianigiani ha trovato in corso d’opera, “aiutato” dall’infortunio occorso a Theodore che gli ha consentito di togliere il play americano dalle rotazioni in favore del più continuo Curtis Jerrells. Theodore, arrivato in estate come play titolare, non ha saputo rendere al meglio ad un livello finora mai sperimentato nel corso della carriera: dopo averlo atteso a lungo, Pianigiani ha deciso di metterlo ai margini nelle partite che più contavano. Allo stesso modo anche Amath M’Baye è quasi scomparso nel corso dei playoff, perché a lui sono stati preferiti Kuzminskas e Pascolo: scelta anche in questo caso vincente, che ha permesso a Milano di cambiare assetto in corso d’opera e di modellarsi a seconda degli avversari, con quintetti molto piccoli o molto grandi che hanno potuto sfruttare i vantaggi proposti dal gioco.
La profondità del roster ha fatto la differenza rispetto alle avversarie, consentendo a Milano di arrivare in piena forma all’appuntamento clou della post season: allo stesso tempo, però, il merito di Pianigiani è stato quello di scegliere – fin dalla serie dei quarti di finale con Cantù – un assetto ben delineato, con i giocatori di cui maggiormente si fidava per affrontare le dure sfide dei playoff. Poche battute d’arresto patite nelle gare da dentro o fuori, a testimonianza di una grande condizione psicofisica della squadra che ha saputo reagire – nella serie finale – dopo le due sconfitte patite a Trento che avrebbero potuto cambiare l’inerzia della serie e forse la storia di questo Scudetto.
Protagonista assoluto di questa serie finale, Andrew Goudelock è stato anche l’uomo copertina delle ultime due partite. Non solo canestri importanti nei momenti decisivi delle gare, ma anche un salto di qualità a livello difensivo e la stoppata – a una manciata di secondi dalla fine di gara 5 – su Sutton che rimarrà nella memoria come il momento chiave dell’intera serie finale (come lo era stato la tripla di Bramos in gara 5 nella finale dello scorso anno tra Venezia e Trento). Le lacrime del Mini Mamba a fine gara descrivono il suo attaccamento alla maglia e la sua voglia di vincere, e al tempo stesso la consapevolezza di avere (quasi certamente) concluso la sua avventura a Milano. La rivoluzione nel reparto esterni, che porteraà James, Nedovic e Della Valle alla corte di Pianigiani, toglie spazi a Goudelock, che ha saputo reagire con grande orgoglio alle voci uscite nel corso della stagione e che avrebbero potuto destabilizzarlo.
Chi scrive aveva espresso già la scorsa estate un parere molto positivo sull’acquisto di Goudelock, ritenuto un giocatore ideale per il sistema di gioco voluto da Pianigiani e basato sul grande talento degli esterni e su lunghi ‘rim protector’. Questo era stato il leit motiv dei successi – sul campo – della Montepaschi Siena, capace di incantare l’Italia con un gioco eccellente basato più su iniziative partite dalle guardie che su un gioco corale di alto livello. Allo stesso modo è avvenuto a Milano, con la squadra costruita su misura del suo allenatore: sebbene con interpreti di livello probabilmente inferiore rispetto a quelli di Siena, il risultato sul suolo italico è stato lo stesso: la vittoria.
Ora per Pianigiani comincia il difficile: ripetersi e continuare la crescita del progetto. Obiettivi ambiziosi ma raggiungibili, anche grazie alla grande rapidità avuta dalla società nel muoversi sul mercato assicurando al coach giocatori di livello europeo per provare a competere con le big d’Europa per un posto nei playoff a partire dalla prossima stagione. Il leit motiv sarà sempre lo stesso: tanto talento negli esterni, con maggiore concretezza rispetto ad alcuni interpreti di questa stagione, e lunghi chiamati a offrire un contributo importante sotto i tabelloni e a racimolare quanto rimane del gioco degli esterni. Così è stato in questa stagione con Gudaitis e Tarczewski, che non avendo un gioco spalle a canestro così valido (come ammesso da Pianigiani) sono spesso stati serviti vicino al ferro o si sono procurati i punti andando con efficacia a rimbalzo d’attacco.
Lo Scudetto rappresenta quindi la vittoria di Pianigiani, in primis, e dei suoi giocatori. Ora viene il bello, portare avanti il progetto triennale: con questi presupposti, la squadra potrà togliersi delle soddisfazioni. Ma questo ce lo dirà solo il tempo. E il campo, unico giudice del lavoro di una squadra.